Abruzzo: L’Aquila dopo il terremoto


L'Aquila sorge sul declivio di un colle alla sinistra del Fiume Aterno, in vista delle Montagne del gruppo del Gran Sasso d'Italia; è la principale città dell'Abruzzo per importanza storica e per il complesso dei suoi monumenti e delle istituzioni culturali; è capoluogo di Provincia e di regione. 

Quelli che seguono sono estratti dall'articolo “Le vestali della città del silenzio” di Paolo Rumiz del 12 agosto 2011, facente parte del reportage “Le Case degli Spiriti” pubblicato a puntate sull'inserto R2 del quotidiano la Repubblica.

«[...] cominciammo a parlare a bassa voce senza ragione apparente. 
Non volevamo disturbare il letargo delle pietre, e ci bastava un bisbiglio per capirci. 
In zona rossa all'Aquila si entra e si tace. 
Ci si lascia la vita alle spalle. 
In zona rossa un colpo di tosse è un tuono, il trillo di un telefonino un rimbombo [...]»
«[...] Ai piedi dei muri transennati di Santa Maria Paganica solo la fontanella cantava [...]» con un'improbabile tartaruga poggiata sul bordo, 
«[...] fra il portale trecentesco della chiesa e la soglia barocca del dirimpettaio palazzo Ardinghieri, venerabile magnificenza dal tetto sfondato [...]».
«[...] la bionda Nicoletta Rugghia mi versò del Montepulciano e fece un memorabile elenco di ciò che era per lei la vecchia Aquila. 
Città, disse, è la vicina malfidante che spia dalle persiane, è lo sfaccendato, è il ciclista monomaniaco, è la signora invidiosa dei vasi di fiori altrui. 
Città è il dirimpettaio arrogante, il fornaio che ti frega cinque centesimi al cartoccio; città è gli sposini timidi, il postino che canta sempre, il collezionista di francobolli. "Città è questo, questo io amavo. 
E questo oggi non esiste più". 
Fuori l'aria era tiepida, ma la città era fredda. 
Sfiatava miasmi umidi dal fondo dalle sue cantine. 
Fu allora che Patrizia mi svelò uno dei mirabili segreti della sua città. 
In via San Martino angolo via dei Lombardi, in piena zona rossa, tra le macerie di altre case, c'era un palazzo quattrocentesco intatto, appartenuto a tale Jacopo di Notarnanni. 
Ciascuno spigolo mostrava due piccoli gigli in ferro battuto. 
Erano abbellimenti delle catene antisismiche tese da secoli dentro i muri maestri. 
Poi vidi che ce n'erano dappertutto in città, seminascosti dai ponteggi. 
Erano una decorazione, disse Patrizia, ma anche un ex voto. 
Un simbolo di purezza dedicato alla madonna, perché il terremoto del 1703 era avvenuto il 2 febbraio, giorno della Candelora. 
Erano stati quei gigli incatenati fra loro a salvare molte parti dell'Aquila nel 2009. 
Ma vallo a spiegare ai talebani dell'antisismico, invasati da furia risanatrice [...]».

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«[...] Una luce già di montagna splende nelle vie de L'Aquila, e penetrando anche nei vicoli più stretti dei quartieri vecchi, porta uno scintillio nell'ombra.
Dovunque si sente lo spazio.
Perciò L'Aquila e gaia.
Posta ad oltre 700 metri, il più alto, se non erro, tra i capoluoghi di provincia italiani dopo Enna e Potenza, è una città che respira.
Lo sguardo, appena trova un varco, subito va lontano, con l’immediatezza di un corpo sommerso che viene a galla, fino al Gran Sasso ed al Sirente, dominanti la vasta conca.
I portici e i molti caffè sono pieni di folla; dal centro si raggiungono senza fatica grandi giardini panoramici. 
È una specialità della vita italiana avere raramente l'aspetto infelice. 
La prima impressione de L'Aquila è questa facilità di respiro. 
Poi, una fastosa edilizia recente, banche, cinematografi, compagnie di assicurazione, di un numero è di una mole che sembrano sproporzionati.
Lo stile rivela che furono concepiti in anni fascisti. 
Una piccola Roma ministeriale e funzionaria si è sovrapposta alla vecchia città. 
Basta però girare dietro questa facciata perché riemerga intorno cordiale e sincera L'Aquila d’una volta.
Non si può chiamarla antica, se si eccettuano alcune oasi monumentali. 

La maggior parte dei palazzi va dal Rinascimento tardo al Barocco, pochi sono gli avanzi gotici, per lo più incamerati dentro muri di un altro stile. 
Negli edifici sono scritte le vicende agitate non soltanto dell'arte, ma della storia dell'Abruzzo. 
È questa la nostra regione che fu più devastata dai terremoti; nessun centro ne rimase esente, e L'Aquila ne subì una serie. 
Così l'arte abruzzese appare come smozzicata dai cataclismi, e ciò che oggi noi vediamo è un avanzo. 
L'Abruzzo, come tutti sanno, ebbe nel Medio Evo i secoli più felici, quando tutta l'Italia partecipava in modo equo ad una civiltà diffusa; ma divenne provincia quando la civiltà italiana cominciò ad accentrarsi nei vertici dei grandi centri. 
La grande arte si arrestò alla fine del Quattrocento. 
Perciò i terremoti infierirono su quanto l'Abruzzo aveva di meglio. Anche la parte nobiliare de L'Aquila è in buona parte rifatta, sebbene ormai da qualche secolo.
Delle ricostruzioni dopo i disastri reca tuttavia l’impronta. 
Si avverte l'intervento degli imprenditori, che usavano lo stile in voga. 

Le date dei terremoti più catastrofici vollero che abbandonasse, qui ed in quasi tutto l'Abruzzo, un barocco che si direbbe oggi commerciale e di serie, adatto però a soddisfare le esigenze del fasto. 
Pure non è possibile camminare in alcune parti della città, come quella in cui sorgono il Palazzo Rivela ed il Palazzo Dragoni de Torres, senza subire l'attrattiva di un contrappunto tra edifici barocchi, residui di costruzioni anteriori, improvvise aperture sulle montagne circostanti. 
Vi sono poi le oasi dei monumenti che sfuggirono ai terremoti, come Santa Maria di Collemaggio, contemplante il Gran Sasso, con una stupenda facciata romanica di due colori, bianco e rosso, che si confondono in un riverbero rosato.
O edifici di epoca più vicina alla nostra, come San Bernardino, anch'esso tra il Rinascimento e il Barocco. 
San Bernardino morì a L'Aquila, onde la disputa con Siena, che ne rivoleva la salma; la quale invece qui è rimasta, in un ricco sepolcro, quasi un tempio nel tempio. 
Dovunque San Bernardino ha lasciato il suo segno, una sigla in tre lettere, quell’IHS che significa: Iesus hominum salvator. 
Essa si ripete a L'Aquila centinaia di volte, su ogni chiesa, palazzo o casa, con un fregio decorativo, come un fregio decorativo. 
Santo gradito a tutti, anche alle sinistre, perché classificato tra i santi «progressivi», San Bernardino ebbe nel 1950 una grandiosa processione che tutti a L'Aquila ricordano. 
La mummia fu portata scoperta per le vie, e ricondotta in chiesa dove restò qualche tempo visibile. 
Gli Aquilani parlano ancora di un memorabile concerto nel tempio. 

L'orchestra suonava e la salma si vedeva di sbieco tra i marmi scolpiti e gli ori. 
Il tempio di San Bernardino, ricco di opere d'arte, vastissimo, bianchissimo, d’un bianco sapientemente rialzato con ori e argenti nel soffitto, con rossi chiari e con verdi nelle pareti, emana la suggestione narcotica dei grandi spazi regolari, ed ancora più che una chiesa si direbbe uno splendido salone per concerti; forse per rammentarci che, come vedremo, L'Aquila è tra le nostre città più musicali. 
È anche una città con 52 chiese, 6 conventi di suore e 6 di monaci, e un clero influente nella vita pubblica. 
I notabili della città e proprietari dei palazzi nel dopoguerra invece emigrarono tutti a Roma, lasciando quei palazzi chiusi, per alcuni mesi all'anno. 
Il palazzo aquilano, sorto sulle rovine, è in genere più curato all'esterno che dentro; la facciata e il portale sono la parte più cospicua. 
Se vi si penetra però si trovano il «salotto verde», il «salotto giallo», secondo il colore dei vecchi damaschi che coprono le pareti, ritratti di cardinali, piccole pinacoteche, forse non senza qualche copia, ed una nobiltà che si vanta di origine più antiche di quella romana.
Poco industriale, è circondata di terre scarsamente fertili, L'Aquila è una città di funzionari ed impiegati, come si vede dalla folla sotto i portici e nei caffè. 
Pescara oggi l'unica città abruzzese che, grazie anche all'immigrazione dei nordici, abbia concetti e attitudini commerciali. 
L'Aquila è invece impiegatizia, ed anche i commercianti, mi è stato fatto osservare, possono dirsi stipendiati, riscuotono il 28 del mese, quando i loro clienti ricevono lo stipendio. 
Non soltanto motivi di prestigio e la maggiore dignità di cultura e di storia hanno resto perciò L'Aquila intransigente quando quanto quando Pescara le ha conteso la supremazia regionale con i relativi uffici. 
Nella situazione attuale la città non potrebbe sopravvivere che come capoluogo della Regione. 
La disputa è accantonata. 
È uso comune in America che capitale burocratica di uno stato non sia la città più attiva per industrie e commerci, cominciando da Washington in paragone di Nuova York; L'Aquila è la piccola Washington dell'Abruzzo. 
E, come è costretta a difendere il suo primato regionale, è costretta a resistere a quelle tendenze centrifughe che sono, lo abbiamo già detto, caratteristica Abruzzese. 
La provincia de L'Aquila ha due zone agricole ricche, quella del Fucino e la plaga intorno a Sulmona; esse aspirano ad affrancarsi e a divenire provincia; Sulmona addirittura pone tra L'Aquila e Pescara la sua candidatura a capoluogo regionale. 
Se questi distacchi avvenissero, L'Aquila perderebbe quasi tutto il suo patrimonio. 
Non molto rimane da aggiungere sull'economia aquilana. 
La disoccupazione, come in tutta Italia, si deve in parte alla scarsezza di manodopera educata e specializzata. 
Il turismo può svilupparsi. 
La gita abituale dell'Aquila e Campo Imperatore tra le nevi e le rupi del Gran Sasso, servito da una splendida funivia. 
L'inaugurazione risale ad oltre ventun anni fa.
E forse L'Aquila è la prima delle città italiane da noi visitate in cui gli anni fascisti hanno lasciato impronte maggiori e più vistose del dopoguerra.
Le persone più responsabili del benessere cittadino mi hanno fatto notare senza troppi eufemismi le non ottime condizioni dell'economia aquilana. 
La città è circondata, si è detto, di terra povera; grava inoltre sulla provincia la montagna depressa.
Vera industria non potrà sorgere, mi fu aggiunto, se L'Aquila non sarà tolta da un isolamento che dura ormai da circa quattro secoli e mezzo, mediante più spedite vie di comunicazione.
Di fronte alla mediocre situazione economica lo stato della civiltà e della cultura presenta invece sintomi favorevoli, certo senza eguali in Abruzzo. 
Culturalmente L'Aquila è più su della media delle città di provincia italiane.
Si è detto che l'Abruzzo non possiede un’università, che attiri a sé le forze intellettuali, e contribuisca a formare una coscienza regionale. 
Un nucleo esiste all'Aquila. 
L'università dell'Aquila non è ancora riconosciuta. 
Lo sarà, limitandosi forse le facoltà di magistero. 
Alcuni ambiscono una facoltà di geofisica, ricordandoci che l'Abruzzo è forse la nostra regione che presenta all'osservatore elementi più ricchi e vari per questo genere di studi. 
(Come curiosità rammento che un colossale mammut, a cui gli specialisti assegnano mezzo milione d'anni, fu ritrovate a quindici chilometri da L'Aquila. 
Si cerca ora di trovare una sede a un così degno scheletro).
Ma L'Aquila è anche una sede che dovrebbe tentare gli studiosi dell'arte. 
Poche regioni come questa, i cui monumenti più insigni furono assaliti dai terremoti, necessita di restauri, soprattutto di quelli intensi e riportare edifici famosi al loro aspetto originario liberandoli dai deturpamenti delle ricostruzioni. 
Un soprintendente, il Chierici, ha lasciato una forte traccia; si deve a lui tra l'altro il ventennale restauro di San Giovanni in Venere e l'inizio di quello grandioso del Duomo di Atri, di cui abbiamo già parlato. 
L'attuale soprintendente, De Logu, oltre a continuare ad Atri quest'impresa di grande impegno, ne conduce altri due: il restauro del grande castello di Celano, in prossimità del Fucino, e della chiesa di San Pietro ad Alba Fucense, dove, per la parte archeologica, opera invece una missione dell'Accademia belga. 
La rovina di questa chiesa romanica ma su basi romane è recente perché risale al terremoto del 1915; tutti i pezzi rimasero, perché un custode appassionato spese la propria vita a difendere i ruderi. 
Si avrebbe una sorpresa se si facesse un censimento delle opere d'arte salvate dalla distruzione per la difesa di individui isolati, spesso umili, spesso maniaci, soli nell'indifferenza altrui. 
Nessuna ragione poi ha più bisogno di musei. 
Le opere d'arte deperiscono perdute nei villaggi alpestri; e già si è visto come il grande patrimonio delle arti minori, massimo vanto dell'Abruzzo, sia stato in buona parte dilapidato, senza che ne siano rimaste collezioni complete sia pubbliche che private. 
Fanno eccezione le ceramiche, grazie a una grande collezione privata, quella del barone Acerbo. 
Ma la stessa pittura, e in genere latte abruzzese, sono tuttora un campo vergine per gli studi. 
Questo ci riconduce alla scarsa coscienza di se stesso, al vuoto creatosi negli studi, che l'Abruzzo sta superando.
Del massimo pittore abruzzese, Andrea Delitio, fiorito nel secolo XV, si sa che fu educato fuori e probabilmente a Firenze, per poi rientrare nell'Abruzzo tornando ai modi provinciali; ma poco di più è conosciuto.
Un importante avvio alla migliore conoscenza dell'arte dell'Abruzzo è ora il museo de L'Aquila. 
Fu, prima della guerra, un museo civico in cattivo stato ed in sede inadatta. 
Il castello che domina la città e fronteggia il Gran Sasso, splendida costruzione militare spagnola includente un palazzo, uno tra i capolavori di architettura militare del Cinquecento, era divenuto caserma e sede del presidio. 
Abbandonato all'armistizio ed occupato dai tedeschi, alla fine delle ostilità si trova finalmente libero; fu restaurato e trasformato in museo, oltre che in magnifica sede della soprintendenza. 
Il castello, dopo i restauri, e d’alto interesse per sé, con i suoi vasti sotterranei il suo gioco di feritoie, oggi spiragli panoramici; ed il museo, ben ordinato, con abbondante spazio per allargarsi, può essere il nucleo di un grande museo d'Abruzzo. 
Già ben rappresentata vi è la scultura in legno, in cui l'Abruzzo emerse, e quella pittura abruzzese, che subì ogni genere di influenze, ma che conservò un proprio stile. 
Curiosità della fortezza è una sala esattamente disegnata a forma di liuto. 
Uno schema che corrispondeva a necessità militari fu trovato così sorprendentemente adatto ad una sala da concerti. 
Quella sala divenne un auditorium degno di una metropoli e di grandi pregi acustici. 
La società dei concerti de L'Aquila, nata nell'immediato dopoguerra, e precisamente nel 1946, per opera del musicologo Nino Carloni, ha oggi vita fiorente ed i suoi concerti sinfonici, corali e da camera sono di alta qualità. 
L'Aquila è una delle poche città italiane che partecipa la cultura musicale europea. 
Amante della musica, essa reagì con la appassionarsi ai concerti al declinare del gusto per il melodramma, a differenza di altre regioni come le Marche e l'Emilia, legate al melodramma e alle sue vicende. 

Nel dopoguerra dunque, se L'Aquila non ha segnato grandi novità economiche, ha invece segnato una forte ripresa nel campo della cultura.
Conferma la nostra opinione, che la nostra cultura si dovrà rinsanguare con le forze latenti delle nostre province, e che occorre perciò assisterle e non disperderle.
L'Aquila ha anche un eccellente attrezzatura per gli sport e una nota piscina; ma queste opere nacquero in altra fase della storia, insieme con i palazzi bancari e la funivia del Gran Sasso [...]»
(da «Viaggio in Italia» di Guido Piovene - 1950 - pagine 557 a 562)




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